IL MUSEO
Le ricognizioni di superficie che si sono gradualmente estese a gran parte del territorio provinciale, hanno portato alla scoperta di tantissimi siti archeologici e al ritrovamento di moltissimi materiali significativi. Ciò fece sorgere il problema della loro conservazione in un luogo adeguato, che venne risolto con la collaborazione e l’interessamento dell’Am-ministrazione Comunale di Vivaro, la quale nel 1978 inviò una richiesta al Museo Archeologico di Aquileia, per conservare ed esporre in loco i reperti, e poi, due anni dopo, mise a disposizione, nel nuovo edificio per i servizi sociali, una stanza dove il Gruppo provvide ad esporre i reperti per una mostra.
Finalmente dopo aver ottenuto il benestare della prof.ssa Luisa Bertacchi, Direttrice del Museo Archeologico di Aquileia, il piccolo museo venne inaugurato il 20 settembre del 1980, con una manifestazione che vide una folta partecipazione da tutta la provincia. Tra gli invitati ci furono anche la prof.ssa Paola Cassola dell’Università di Trieste e la dott.ssa Serena Vitri allora ricercatrice presso la stessa Università, che in precedenti incontri avevano condiviso l’idea del piccolo museo.
La vecchia sede dell’Antiquarium
Nei mesi successivi iniziò, per il Gruppo, un lungo periodo molto impegnativo, volto a dare ai materiali raccolti e al Museo un doveroso inquadramento scientifico ed istituzionale. Venne perciò avviata la procedura per inventariare, catalogare e studiare i materiali, che venne affidata dalla Soprintendenza alle dott.sse Isabel Ahumada Silva ed Antonella Testa, con le quali collaborarono anche alcuni membri del Gruppo. Contemporaneamente venivano compilate dal Gruppo le schede dei siti, e consegnati alla Soprintendenza i materiali della zona sud di Pordenone.
Nel maggio 1985 come conseguenza di queste attività, la Soprintendenza comunicò al Sindaco di Vivaro di aver provveduto a proporre al Ministero per i Beni Culturali il regolare deposito nel Museo dei materiali inventariati. Il Gruppo continuò a collaborare alle attività di catalogazione e studio dei materiali e partecipò alla creazione del nuovo allestimento, in due sale, del Museo. Tale allestimento venne completato nei primi mesi del 1986, e la nuova inaugurazione ebbe luogo il successivo 14 giugno.
L’inaugurazione del 1986
Dopo qualche mese il Comune di Vivaro ricevette dalla Soprintendenza la comunicazione dell’approvazione del Ministero peri Beni Culturali al deposito dei materiali e quindi l’autorizzazione ministeriale del Museo.
Dopo alcuni anni l’Amministrazione Comunale di Vivaro progettò l’ampliamento dell’edificio del Museo per poter disporre di spazi più razionali e meglio fruibili. Dopo tele ampliamento avvenne, il 10 settembre 1995, l’inaugurazione della nuova esposizione, o meglio la terza inaugurazione del Museo.
Fin dalla costituzione del Museo, il Gruppo Archeologico Cellina Meduna ha fornito il suo fondamentale contributo per la gestione del Museo, e, grazie alla disponibilità dei Soci, ha potuto garantire, gratuitamente, l’apertura domenicale al pubblico. Ma nel 2008 i rapporti di collaborazione con l’Amministrazione Comunale s’incrinarono fino a giungere ad una rottura totale. Il motivo era dovuto alla decisione del Comune di portare la sede del Museo in un altro edificio (la ex-latteria), che trovò decisamente contrario il Presidente e tutti i Soci del Gruppo, in quanto l’edificio era ritenuto non idoneo ad ospitare un Museo, visto la mancanza di alcuni requisiti strutturali. Rimanendo il Sindaco sulle sue posizioni, e disponendo materialmente il trasferimento del Museo nella nuova sede, il Gruppo decise all’unanimità di interrompere ogni collaborazione con il Comune, compresa la gestione delle aperture domenicali. Di questa situazione chi ne soffrì di più fu certamente il Museo, che rimase chiuso tranne qualche rara apertura per qualche visita didattica. Fortunatamente l’attuale Amministrazione Comunale, nella persona del Sindaco dott. Mauro Candido, ha dimostrato una sensibilità culturale, che ha permesso un riavvicinamento ed alla creazione di una nuova fruttuosa collaborazione culminata con la riapertura del Museo, nel settembre 2016, in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni di attività del Gruppo, e la recente firma di una Convenzione tra il Comune ed il Gruppo Archeologico che permetterà, a quest’ultimo, di ritornare ad avere la gestione organizzativa del Museo, garantendo così la sua riapertura.
I materiali esposti
Visitando il Museo si può notare una preponderanza di materiali metallici rispetto ai laterizi o alla ceramica. Questo è dovuto al fatto che per le ricerche di superficie viene utilizzato il metal detector. Uno strumento “poco gradito” alla Soprintendenza, ma che ha permesso in questi decenni di ricerca sul territorio, si trovare moltissimo materiale, che altrimenti sarebbe stato disperso o distrutto.
Per quanto riguarda la provenienza dei materiali si può circoscrivere ad un ambito territoriale ben definito comprendente l’area dei “magredi” compresa tra il Cellina ed il Meduna, con qualche eccezione per manufatti rinvenuti comunque sempre nella provincia di Pordenone.
I reperti esposti nel Museo si possono, cronologicamente, inserire nel periodo che va dal Bronzo medio/recente (II millennio a.C.) fino all’Altomedioevo (VII-VIII sec. d.C.). Per quanto riguarda le età più antiche i reperti, per lo più, ceramici, provengono in gran parte dai “tumuli”, interpretabili come monumenti funerari.
Continuando a scorrere il tempo si arriva al II sec. a.C. (tardo la Tène) dove, se la romanizzazione nei centri urbani vicini era avvenuta già da tempo, la popolazione tra il Cellina e il Meduna sembra rimasta ancora legata ad una cultura influenzata dal modello celtico. Di questo periodo si possono osservare un paio di forbici per tosare, una catena per focolare, un vomere ed alcuni diversi tipi di fibule.
Ma la documentazione di gran lunga più abbondante, articolata e significativa riguarda l’età romana ed in particolare il periodo imperiale. Si tratta di reperti di notevole interesse perché presentano un’ampia gamma di tipologie che testimoniano attività articolate e vivaci. In quest’area viveva, in piccoli insediamenti, una popolazione che si dedicava con tenacia all’agricoltura e alla pastorizia, cercando di sfruttare nel miglior modo possibile un terreno che si può supporre fosse avaro, e di sopperire al fabbisogno di manufatti con l’esercizio di svariate attività artigianali.
Gli scarsi manufatti ceramici sono rappresentati da frammenti di recipienti in ceramica comune e da contenitori da trasporto non precedenti il I sec. d.C.
Altri manufatti, rinvenuti frequentemente nel territorio, come tegole e mattoni anche bollati, mattonelle, parti di suspensurae di ambienti termali, chiavi, elementi di serrature, chiodi e grappe, sono riconducibili a insediamenti rustici di età imperiale.
La grande quantità di attrezzi, specialmente in ferro, documenta diverse attività artigianali relative alla lavorazione della pietra, legno, cuoio, metallo e forse ceramica. Gli attrezzi agricoli, alcuni dei quali ancora riferibili al tardo periodo La Tène, continuano ad essere documentati per tutta l’età imperiale. Tra essi si possono notare sia strumenti destinati a più usi, simili a quelli utilizzati nei siti militari, sia attrezzi differenziati, d’impiego civile, con una maggiore specializzazione che durano fino all’età tardo antica.
Tra le attività economiche praticate ci sono l’allevamento e la tessitura, rappresentate dalle forbici per tosatura e i pesi per telaio e fusaiole.
Le monete, i pesi da stadera e da bilancia attestano anche delle attività commerciali. Interessante è un “peso a ciotola impilabile” diffuso in età romana ed attestato e documentato per lo più nell’area danubiana. Pesi di questo tipo in Italia se ne conoscono solo pochissimi esemplari: quello dei Civici Musei di Treviso, un set praticamente completo conservato nel Gabinetto Numismatico del Castello Sforzesco a Milano, e quello del Museo di Tesis.
In ambito militare possiamo vedere, oltre gli attrezzi metallici multiuso e le macine, anche degli elementi in bronzo (borchie, bottoni, guarnizioni per cinturone) che facevano parte dell’equipaggiamento dei soldati.
Altri oggetti fanno parte dei corredi funerari; si tratta di elementi di ornamento personale: fibbie, fibule, bracciali, anelli, orecchini , monete, olle e balsamari in vetro, urne cinerarie in pietra.
Le fibule, sono rappresentate principalmente dai tipi “Aucissa” e “Gurina”.
Interessanti sono anche i tre bronzetti d’epoca romana che rappresentano Venere, Ercole e un’aquila. I primi due rientrano in una tipologia di derivazione ellenistica e rappresentano divinità fra le più venerate soprattutto in ambito provinciale e tra gli strati popolari. Queste statuette venivano generalmente poste nei larari del le abitazioni sia urbane sia rustiche, costituendo così interessanti testimonianze sulla diffusione dei vari culti domestici.
Per quanto riguarda il luogo di fabbricazione la lacunosità del bronzetto di Venere non permette di ricondurla a modelli già noti, e per tanto si può ipotizzare un centro dell’Italia nord-orientale oppure transalpino, mentre il bronzetto di Ercole, molto simile all’Hercules bibax, ha una corona di foglie che è una caratteristica tipicamente italica e popolaresca, e che ha avuto una diffusione capillare nel mondo romano nel contesto di un culto generalizzato, probabilmente domestico. Infine il mediocre livello di lavorazione rende difficile l’inquadramento cronologico, e basandosi soltanto sulle poche informazioni relative al contesto del ritrovamento è possibile porre questo bronzetto in epoca imperiale (II sec. d.C.).
Il terzo bronzetto rappresenta un’aquila con le ali aperte, ma il suo stato lacunoso rende difficile sia la tipologia sia l’utilizzazione. Aquile di piccole dimensioni sono state frequentemente ritrovate nelle aree adiacenti i confini dell’Impero. Esse potevano trovare gli impieghi più diversi; in ambito militare costituivano l’insegna della legione, erano oggetti di culto e venivano conservate all’interno del quartier generale del campo militare. In ambito domestico venivano utilizzate come appliques su mobili, vasi, lucerne ed altre suppellettili.
Per quanto riguarda la collezione delle monete, esse coprono un arco cronologico piuttosto ampio che va dalla metà circa del II sec. a.C. alla fine del IV sec. d.C. Se si eccettua l’unico pezzo di età repubblicana, le altre forniscono una presenza quasi continua per l’età imperiale fino a Teodosio, con maggiori concentrazioni per il periodo traianeo-adrianeo, degli Antonini (Gallieno, Valeriano e Aureliano) e dell’età tetrarchica e costantiniana. La maggior parte dei ritrovamenti sono avvenuti nel territorio compreso tra il Cellina e il Meduna. Per quanto riguarda i metalli di coniazione non è presente l’oro, mentre in argento ci sono alcuni denari.
Attribuibili al periodo tardo romano e altomedievale sono una placca di guarnizione di cintura, un’ascia barbuta. Le due fibule (una zoomorfa e l’altra a bracci uguali) si potrebbero attribuire all’epoca longobarda, visto che ne sono state trovate alcune simili in sepolture di questo periodo.